LOCKDOWN

EXPOSITION AU SOUS-SOL
DU 17 SEPTEMBRE AU 31 OCTOBRE 2020
COMMISSAIRE DE L’EXPOSITION NICOLA DAVIDE ANGERAME
Galerie Depardieu – 6 rue du docteur Guidoni – 06000 Nice France
Tél.0966890274-www.galerie-depardieu.com galerie.depardieu@orange.fr

Giuseppe Fabris

Disegni del Lockdown

Una conversazione “a distanza” con Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame. Si conversa per intrat-tenersi, per tenersi insieme, in modo amichevole, su alcuni temi e argomenti che toccano i conversatori. Per Socrate il dialogo orale, la conversazione in cui due o più persone si intrattengono (ad un banchetto, vicino ad una fontana, ecc.) intorno ad alcuni temi ricchi di “mistero” è la forma più alta di pensiero filosofico, che è anche una forma di amore intesa come magnetismo psichico, incontro di anime asessuate il cui fine è la comprensione delle idee più alte. Questa tensione verso il Bene metafisico è diventata nei secoli un’ossessione e un compito precipuo delle Belle Arti, della grande pittura rinascimentale e della scultura barocca, delle arti applicate e delle avanguardie. Il Bene come Verità, oltre la quale non è più possibile risalire: origine di tutto, principio primo. In questa conversazione con Giuseppe Fabris affrontiamo alcuni aspetti intrinseci e il senso generale del suo ultimo lavoro: una serie di disegni realizzati in modo semplice e immediato usando una semplice Tratto Pen nero punta fine su fogli di carta bianca di dimensioni 24x33cm. Sono i suoi Disegni del Lockdown.

Giuseppe Fabris. Questi disegni sono una mia libera espressione, un flusso di (in)coscienza in cui l’unico punto di riferimento, una sorta di leitmotiv visivo, è la figura minuscola che ritorna sulla parte bassa di ogni disegno.

NDA. Il fatto che questa serie di lavori siano stati ideati e realizzati poco prima il lungo periodo di lockdown, a cavallo tra novembre 2019 e aprile 2020, mi fa pensare al fatto che anche questo possa essere, se non un leitmotiv, almeno una condizione di possibilità per tutti questi disegni, che quindi sorgono da una medesima situazione esistenziale, la stessa che abbiamo provato tutti e che in un modo o nell’altro abbiamo dovuto affrontare. Interrompendosi bruscamente e per lungo tempo la relazione col mondo esterno, si è aperta la via per un viaggio nell’universo interiore. Non so da quanti questo viaggio sia stato compiuto ma ad un certo punto della storia del lockdown, intorno alla fine di aprile, le persone chiuse in casa erano 4 miliardi sull’intero globo terracqueo…

GF. Lavorando di getto, praticamente improvvisando con la penna sul foglio, l’universo interiore il più delle volte mi appare come indefinito, composto da ghirigori incerti, tratti accennati ed interrotti come uno scarabocchio fatto da un bambino.

NDA. Non a caso citi il bambino. Credo che il periodo di segregazione sia stato da molti vissuto come una fase di regressione, a volte verso la propria infanzia, a volte verso dimensioni interiori più ataviche della semplice dimensione psicologica, e sondabili soltanto attraverso quella “scrittura automatica” già adottata da surrealisti e futuristi come momento di liberazione dalle pastoie dell’analisi logica, del vocabolario e della sintassi della lingua madre vissuta come una prigione della quale dover fuggire per riscoprire una dimensione più autentica, tutt’altro che silenziosa o afasica ma al contrario super-espressiva, tumultuosa, vulcanica. Mentre i surrealisti hanno optato per una regressione verso l’inconscio, i futuristi hanno deciso un’accelerazione verso il futuro di una parola-suono onomatopeica, quasi animalesca. Tu hai deciso di costruire una tua lingua che passa attraverso la stesura di ammassi di segni…

GF. Per me sono come delle particelle elementari, come i bosoni e i neutrini, in cui i movimenti della mano, dettati da un automatismo ossessivo, mi portano a costruire e subito destrutturare le immagini che sorgono e svaniscono, fino a quando non viene a galla e intravedo un “riconoscibile”. Che sia un oggetto, un viso, un animale o altro non ha importanza. Quello che importa è la forza con la quale s’impongono. Solo allora decido se insistere per metterle a fuoco o lasciarle velate sotto il rumore dei segni.

NDA. La descrizione del processo creativo che hai appena dato mi fa pensare alle sovrapposizioni di suoni, alle increspature, ai dialoghi appena accennati, ai fraseggi nascosti, alle emozioni lievi, intense e iper-dinamiche che si sviluppano all’interno di una improvvisazione jazz. Essendo tu anche un jazzista di professione, credo che sarai d’accordo se dico che quest’ultima tua produzione sembra condividere la ritmica forsennata del jazz di Charles Mingus e Steve Coleman, pur instaurando un nuovo equilibrio tra il caos primigenio e la forma definita.

GF. Questo processo creativo mi porta a dover aguzzare l’occhio per scoprire molte situazioni celate da portare alla luce e rendere riconoscibili in qualche modo. Soltanto operando in questo modo posso aprire quello spazio in cui l’osservatore potrà immaginare una storia che in fin dei conti rimane sospesa, indefinita.

NDA. Infatti questi lavori mettono in discussione l’intenzionalità dell’opera, il suo voler sempre a tutti i costi mostrare qualcosa, anche quando come nel minimalismo tutto si riduce a una tela monocroma. Intenzionalità è infatti uno dei capisaldi dell’arte tout court. Che si tratti di arte astratta o concettuale, di pittura, bella o brutta che sia, l’intenzionalità dell’artista non viene mai meno. Soltanto in alcune occasioni i surrealisti, Jackson Pollock e il movimento Fluxus hanno cercato di rompere il diktat dell’intenzionalità, facendo del caso un alleato prezioso.

GF. Dopo aver finito il mio primo disegno di questa serie, l’ho osservato e mi è venuta in mente una frase legata ad un’immagine: “Il sonno della ragione genera mostri”, dal titolo di un’acquaforte di Francisco Goya, dalla serie Los caprichos.

NDA. In quella serie il grande pittore spagnolo si lasciava andare alla caricatura, reinventando la categoria del grottesco nel disegno e nell’incisione, per burlarsi e denunciare l’oscurantismo della cultura spagnola a lui coeva, segnata dal sonno della ragione inteso come sopravvento dei vizi e delle superstizioni, soprattutto quelle relative a una religione cattolica vissuta attraverso una fede bigotta. In questa “opera di natura mentale”, come lui stesso afferma nella presentazione delle 80 sconcertanti tavole l’illuminista Goya tradisce una visionarietà irritata e censoria. Malgrado fossero prodotti di fantasia, la società dell’epoca vi si rispecchiò scandalizzata. Anche i tuoi disegni sono dei capricci ma deprivati di intenti moralizzanti, privi di scopo e d’intenzione. Eppure tante tue serie di lavori precedenti, che hanno molto a che fare col disegno su carta o su spazi vuoti di vario genere, hanno sempre avuto un’identità molto precisa, una intenzione dichiarata e minuziosa. Con una linea singola hai sempre definito delle figure esili, quasi immolate sopra l’altare del nulla rappresentato dal fondo immacolato.

GF. Lo spazio bianco e neutro è da sempre una dimensione che sfida il mio disegno e la mia pittura. Ma è anche molto più di ciò, è un “luogo” che chiama in causa la coscienza: tutto quello che traspare su questo fondo (dalla parola, al disegno, alla pittura) lascia una traccia, una presenza. Per molto tempo ho usato il disegno in modo grafico e direi analitico, lasciando molto spazio vuoto attorno per meglio leggere dentro di me, e per rendere all’osservatore il più chiaramente possibile, quel che volevo dire.

NDA. Lucio Fontana ci ha insegnato che rispetto al vuoto e alla tela vuota, il segno decisivo può essere quello che lacera la superficie sulla quale questa coscienza del segno (o il segno della coscienza direbbe Jacques Derrida) appare. Nei tuoi disegni, penso alle serie come Motus Familiae o a quelle dedicate al pasto nudo di Burroughs o a Potlatch, s’intuiva questo desiderio di andare oltre il supporto, forandolo o tagliandolo. Ciò accade anche nell’ultima serie di fotografie vintage recuperate da cui prelevi i volti delle persone “ritratte” (nel senso letterale della parola) lasciando un vuoto al loro posto: aprendo uno spazio verso lo s-fondamento dell’opera che richiama la lezione di Fontana.

GF. Al momento per me il segno improvvisato e senza modelli rappresenta un ambito d’azione più caldo e nomade. Con essi affronto il paradosso e la confusione, che per me sono gravidi di storie accennate che affiorano alla percezione.

NDA. Ogni segno ha la sua mano, ogni mano ha la propria coscienza. Nessun segno è simile ad un altro: i segni sono personali come i traumi, i bisogni, le impronte digitali e le iridi.

GF. Il mio segno può essere, lirico, cacofonico, analitico, statico, logico, paradossale, poetico, volgare, talvolta violento anche se trovo interessante come si possa controllarlo, domarlo e regolarlo, in qualche modo.

NDA. Il segno libero è un cavallo impazzito, è puro istinto, è la parte più profonda e primitiva che parla. Il bambino, nella primissima infanzia, disegna liberamente ovvero traccia senza definire. Il suo disegnare è piuttosto un tagliare lo spazio e solcarlo con un fare frenetico avanti e indietro, su e giù. Nei tuoi disegni appare sempre una figura che, per quanto piccola, rappresenta un’ancora di salvezza, una presenza rassicurante, nel mare in tempesta dei segni. È anche la figura dello spettatore….

GF. Per primo c’è sempre l’uomo. È lui il leitmotiv di queste partiture di segni. Da lui parto per incamminarmi lungo un percorso il cui tracciato non è segnato; è come un’avventura, come una camminata nel bosco senza sentieri, come un viaggio senza meta, come… il grande Viaggio dell’esistenza e forse dell’oltre.

NDA. Il filosofo tedesco Martin Heidegger ha scritto un saggio intitolato proprio “Sentieri interrotti”. Il suo amore per la Foresta Nera, dov’è vissuto e dove ha filosofato per molti anni, l’ha indotto a indicare questa metafora topografica dei sentieri interrotti che si trovano nei boschi come uno dei modi più appropriati per pensare l’essere nella sua in-oggettività; trasformando così la tradizione della metafisica oggettivante (fatta da Platone a Nietzsche) in una ontologia fondamentale della traccia e dell’orizzonte. Due termini, questi ultimi, a cui possiamo sostituire “segno” e “foglio bianco”…

GF. Deambulare in questo spazio ridotto del foglio diventa incredibilmente come perdersi in uno spazio enorme. Ciò anche grazie al rapporto tra spazio e mezzo usato per solcarlo: un pennarello a punta fine il cui segno per me rappresenta bene la sottile linea delle sinapsi, dei trasmettitori cerebrali che fluttuano nel macrocosmo del cervello. Allo stesso modo, le miriadi di linee nei miei disegni sono le sinapsi del mio inconscio.

NDA. Strano inconscio, che cerca di parlare attraverso il linguaggio dell’arte. Alejandro Jodorowsky, il grande psicomago e artista, ha messo in luce come proprio l’arte sia il linguaggio preferito dall’inconscio. Prima di lui già S.Freud aveva indicato come i processi inconsci fossero simili a rebus visivo-linguistici di natura particolare: in essi la parola mantiene lo stesso status dell’immagine e viceversa.

GF. L’essere immerso in me stesso, mentre passeggio o corro nel “noumeno”, mi porta anche a fare un percorso intimo e meditativo dove il non detto, un’immagine celata e una storia da ri-comporre danno spazio all’interpretazione personale, ma soprattutto danno più tempo a chi voglia prendersi il tempo di comporre la propria storia che affiora da questi disegni.

NDA. Auto-analisi di-segno-in-segno, che esprime il paradosso di un’estasi cosciente, di un processo auto-ipnotico, di una seduta sciamanica domestica e in miniatura. I tuoi disegni connettono dimensioni diverse dell’individuo che in questo modo giungono sulla carta al pieno dialogo. Un dialogo intuibile attraverso la forza delle immagini e il rumore di fondo dei segni sovrabbondanti. Me lo spiego così il grande fascino e la forza attrattiva che hanno questi piccoli disegni su coloro che li hanno già visti…

GF. In questo viaggio nell’ignoto la definizione di Limbo e di Bardo coincidono, però mentre il primo non-luogo è animato da ansia ed inquietudine, nel secondo (ci hanno insegnato i grandi spiriti) è possibile, attraverso una profonda liberazione della mente, incontrare le divinità con la giusta serenità e senza paure, siano esse pacifiche o adirate.

NDA. Dici bene: pacificarsi con le proprie divinità. Ciascuno di noi è dotato di un Pantheon personale: familiari vissuti come vere forze ctonie o apollinee nel corso della nostra prima infanzia diventano il modello capace di accogliere le raffigurazioni più ancestrali così come gli dei, i martiri e i santi. Sicuramente il primo spettatore di questi disegni, lo spettatore aureo, sei tu stesso. Questo disegnare diventa quindi per te un rispecchiarsi: il foglio di carta opaco diventa riflettente grazie alle tracce che accoglie. I segni fanno emergere forze, presenze, significati che a noi sembreranno estranei ma che potremo far nostre se è vero che la forza di questo linguaggio istintivo consiste proprio in questo: nel poter gettare un ponte tra i nostri differenti Pantheon personali e connettere così il nostro sentire in un comune destino, quello di essere sempre, e sempre di più, enigmi per noi stessi. L’arte, e questo tipo di arte da te proposta, rappresenta un ottimo tentativo di rimettere insieme le tracce, queste tracce lasciate dal divino che è in noi, per far affiorare il non detto e il non saputo. Quale sia l’utilità di questa tua proposta sta a ciascuno di noi, nella propria intimità, comprenderlo.

Ventimiglia 30 luglio 2020

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